Come passeggeri notturni: Patrizia Anconetani
Quando il volto riflesso nello specchio raccontala propria vita
Oltre a leggere, puoi ascoltare il racconto di Patrizia, attraverso la sua voce, cadenzata in dense sfumature espressivele, al link:
https://podcasters.spotify.com/pod/dashboard/episode/e297te8
Questo volto che mi guarda dallo specchio ha gli occhi pieni di ricordi e rughe d’espressione che hanno fatto il carico di pensieri, risate, paure, sconfitte e cime guadagnate con la fatica delle gambe e dei pensieri.
Faccio foto, senza averne le capacità tecniche, lo faccio senza ritegno, progettando un momento che non arriva mai, nel quale metterò a posto tutto, scriverò didascalie, ricostruirò la storia. Mi sento ricca quando riscopro la capacità di stupore che non mi ha mai abbandonata, mi guardo attorno con la curiosità di un bambino e lascio che i colori, le immagini, i riflessi, le ombre, mi chiamino poi prendo il telefono e scatto.
Riguardarle però si, ho scoperto anche i video, cerco di catturare i rumori assieme alle luci e così posso ritornare nei luoghi dei viaggi e delle emozioni tutte le volte che voglio, concedendomi il lusso di scoprire particolari nuovi che avevo lasciato indietro, nella fretta.
La fretta mangia molto, a volte tutto.
Gli amici scherzano su questa mia bizzarra passione, non sono proprio la persona da selfie ovunque…anche se…un po’ border line sul settore lo sono. Non mi fermo per strada a farmi un autoscatto ridendo spensierata mentre mangio un gelato, ma riprendo, fotografo, scorci particolari, immagini su cartelloni, particolari di dipinti, animali sorpresi nel volo, nella corsa e nella quiete, persone, mani che si intrecciano.
Ridono del mio fotografare come un cinese in gita mordi e fuggi. Ho un ricordo su questo. Mi trovavo in Giordania, deserto dello Wadi Rum, luogo splendido. Eravamo con una missione mista università di Ferrara e Firenze, alla ricerca di siti preistorici in questo deserto tra sabbia e rocce rosse, dentro tramonti incredibili. In quel tempo la mia vita era un film di avventura e le foto mi servivano a fissare quello che inevitabilmente perdevo nella fretta delle azioni. Era giorno pieno, un caldo da deserto, cappello di cuoio comprato in un souk e stivaloni ai piedi, i miei preferiti, stupendi, in cuoio spesso con un traforo di fili intrecciati dal rosso al bordeaux sull’esterno. Eravamo in una stazione di posta, un piccolo bar ed un punto di osservazione per fare foto, avevamo le tende lì vicino. E’ arrivato, praticamente dal nulla, un pullman, sono scesi veloci come solo loro sanno fare, una cinquantina di asiatici armati di macchina fotografica, gentili ed efficaci come se fossero in ufficio invece che in vacanza. Con improbabili sandalini che lasciavano piedi bianchi scoperti. Immaginavo i temibili scorpioni del deserto, quelli chiari, i più velenosi, fare la ola passandosi l’informazione su questo nuovo contingente.
Comunque fotografavano tutto e tutti, in alto, in basso, lontano e vicino, hanno chiesto di poter fotografare noi, e così è stato, un tipico gruppo di autoctoni anime vaganti nel deserto, con macchine fotografiche a tracolla, Corinne con i lunghissimi capelli biondo platino, gli occhi celesti più chiari del cielo, Fabio, una montagna di uomo con gli occhi verdi e Martino con la carnagione lattea e gli occhi color fondo di bottiglia, Francesca la rossa e forse l’unica che poteva essere confusa nel contesto alla fine ero io con i miei tratti mediterranei. Comunque l’unica cosa che sappiamo per certo è che da qualche parte della Cina, in chissà che baule, ci siamo noi che ridiamo nel sole e qualcuno che ci ha descritti come tipici Giordani da viaggio.
Ora torno seria. Quando mia figlia Giorgia, che ora è una splendida giovane donna di 20 anni, era piccola piccola, mi hanno regalato una telecamera, di quelle semplici con uno schermo che si apre e non devi far altro che spingere un bottone e mettere a fuoco guardando dentro la protezione dal mondo dell’obiettivo, cassetta su cassetta.
Sono passati tanti anni da allora e, mettendo a posto nella vecchia casa, ho ritrovato quelle cassettine. Le ho prese in mano come se il passato mi tornasse addosso, con la curiosità buona di vissuto che ritorna. Il tempo passato nel mezzo ha visto arrivare tante nuove soluzioni tecnologiche, oggi è tutto più semplice, ho chiesto ad un amico se riusciva a scaricarmi il contenuto su una chiavetta per poterli vedere al computer.
Così è stato. Emozione pura. Ero in turno di notte quando in un momento di pausa, ho attaccato la memoria esterna ed ho iniziato a vedere, è stato come se tutto il contorno scomparisse, le persone attorno, dove ero, i suoni. Sono rimasta lì, ipnotizzata, dentro quel nuovo tempo regalato, a rivivere, in senso pieno, momenti che credevo scomparsi o solo marginalmente ancorati ai ricordi. I ricordi sono un tema a se, e se hai visto tua madre ammalarsi di demenza senile, perdere i ricordi come i sassolini per trovare la strada, tutto diventa due volte, tre volte più importante, da tenere da parte.
Avevo perso tanti di quei ricordi che ora tornavano a farmi compagnia, la sua voce da bambina, il broncetto e la risata, le vacanze a Jesi, i luoghi della mia infanzia e la mia famiglia un po’ folle e speciale, tutti molto più giovani, embrioni di ciò che sarebbero diventati i bambini e ragazzi, versione più luminosa di quelle come me e mia sorella che il tempo ha un po’ scolpito.
Poi c’erano i volti e le voce di quelli che ci hanno lasciati, ed è la parte più forte, che ti lascia attonita soprattutto se non avevi memoria di quei piccoli momenti, delle frasi, delle espressioni. Mia madre che tiene per mano Gio che cammina sul muretto con i capelli biondi tagliati a caschetto corto. Mia madre non era ancora malata lì, mio fratello era ancora vivo e lei non sapeva quanto di lì a poco, la vita le avrebbe tolto, il figlio maschio, la leucemia aveva concesso una tregua ma la guerra purtroppo ci ha visti tutti dalla parte degli sconfitti.
Stefano parlava di politica seduto nella poltrona nello studio, una biblioteca che riempiva le tre pareti fino al soffitto, l’orgoglio di nostro padre Alberto; aveva quell’espressione ironica, lo sguardo un po’ sfuggente, quando guardava l’obiettivo. Incredibile come le immagini in movimento riportino in vita l’illusione di presenze che nella realtà ci hanno abbandonati.
Ero seduta avanti allo schermo come ipnotizzata, sospesa tra la curiosità di andare avanti e la paura di sentire il suono del telefono che ci avvertiva di dover partire in ambulanza per un nuovo intervento. Eravamo a Jesi, la casa in cui sono cresciuta, il balcone sul giardino era ingombro di un salottino a misura di bambini, con seggioline, tavolo ed ombrellone, tazzine in ceramica in scala e una teiera in coccio per il momento del te, Giorgia e le sue cuginette a ridere fingendosi signore eleganti che condividono un momento di convivialità ..”da grandi”. Ad un certo punto il focus si sposta su mia madre, mia madre prima della malattia, lo sguardo limpido e splendido, con quello sfondo di malinconia, i capelli grigi pettinati indietro. Maestra per sempre, quello stesso sguardo aveva accolto, aiutato a crescere, corretto e incoraggiato decine e decine di bambini. Si volta verso l’obbiettivo e sorride, un sorriso che arriva fino in fondo alla malinconia trasformandola, le guance tirate verso l’alto dal sorriso aperto.
Non posso piangere, sono in servizio, devo tenere i nervi saldi e lasciare la fragilità chiusa in un angolo per poter accogliere le fragilità degli altri. Quello sguardo lungo, pieno di significati, tornato potente dal passato, mi ha dato l’illusione di averla di nuovo lì, di poterci parlare, di sentire quella voce buona e rassicurante ancora ed ancora.
“Va tutto bene Pi, sei forte”.
Grazie mamma, resti l’unica a capirmi e leggere quello che ho dentro, vedere quello che nemmeno io riesco a scorgere, da sana e da malata, l’ultimo ricordo che ho di te da viva è la mano stretta sulla mia e la preoccupazione di vedermi turbata.
Questo video tornato dal passato mi ha regalato un viaggio che non avrei pensato di intraprendere e mi regalerò tutti i momenti che posso a farmi coccolare dai ricordi.
Continuo a fotografare, a riprendere, raccontare e raccontarmi, le mille storie vissute e da vivere, coreografia di momenti speciali, essenziali.