Come Passeggeri notturni: Elena
Questi nostri passeggeri notturni, ospiti del mercoledì… i loro racconti… le loro voci che si dilatano a dirci vicende umane a cui non dovremmo abituarci, né rassegnarci, mai.
Oggi Elena Manno dalla Grecia ci parla di un giovane indiano
I PINI D’ALEPPO
La villa che mi ospita sorge in un’isola greca, su una collinetta sopra il mare. Vi si accede tramite un cancello a livello della strada; oltre il cancello si trova una scala di pietra, i cui gradini disuguali conducono ad una terrazza, antistante la villa, coperta da un pergolato di travi di legno sul quale fa da tetto una struttura di plexiglas. Sia il pavimento della veranda che il tetto sono coperti da aghi di pino secchi. Già. Perché i padroni del giardino sono loro, i pini di Aleppo. Alcuni si ergono dritti verso il cielo per una ventina di metri, altri sono cresciuti incurvati e quasi paralleli al terreno. Tutti hanno un’ampia chioma verde chiaro formata da foglie aghiformi molto sottili e morbide che, seccandosi, cadono e ricoprono qualsiasi oggetto e struttura sottostante. Ogni mattina il giardiniere Kasér, un minuto ragazzo indiano sulla ventina, pelle scura ed occhi ancora più scuri, aziona un aspirafoglie lungo i gradini, sul pavimento della terrazza e nei vialetti sovrastanti, che ora di sera sono nuovamente ricoperti dal manto color ruggine degli aghi secchi. Ci salutiamo e scambiamo due parole, lui parla abbastanza bene il greco e completa ogni frase con un sorriso dolce e un po’ schivo. Oggi però sembra riluttante ad andarsene. Mi dice “Signora oggi ultimo giorno di lavoro per me” “Come mai, Kasér?” “Domani altro prende il posto, io spiegato lui cosa fare…” e sospende la frase guardandomi; mi sembra quasi che mi chieda aiuto, ma cosa posso fare io? Sono qui in qualità di ospite nella villa del nostro amico, ed il personale di servizio non viene nemmeno assunto da lui direttamente. Se ne occupa il figlio, che abita nella villa accanto. “Mi dispiace molto, Kasér…” mi lancia un’ultima occhiata e poi si avvia per le scale.
Poco più in basso scorgo il nuovo giardiniere: è un uomo, non un ragazzo, di corporatura un po’ più robusta rispetto a Kasér, e indossa un turbante di un intenso azzurro. Appena ne ho l’occasione chiedo chiarimenti al mio amico, parlandogli con simulata indifferenza. “ Come mai avete cambiato giardiniere? Kasér non era adatto?” “Ah” mi risponde “no, no ma la comunità indiana deve portare rispetto ai componenti Sikh. Loro hanno sempre la precedenza, sono quasi dei santoni…”
Si chiama Sèka. Mentre scende la collinetta con la sua motoretta indossa il casco che traballa sopra l’azzurro turbante. Lontani mille e mille miglia da casa, eppure incastonati nelle stesse abitudini.