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Capo Colonna. Un farista e la solitudine

di Marina Agostinacchio
Una mattina di circa un anno fa, duplicata da troppe settimane, tra il venerdì e la domenica, in “puliscicasa”, tra robottino Vileda e aspirapolvere Folletto, sento alla radio un’intervista al farista di Capo Colonna.
Capo Colonna è anche il nome del promontorio che vuole ricordare le numerose colonne del tempio di Hera Lacinia. Il faro marittimo che lì si trova è attivo dal 1873. Da tre generazioni lo “anima” una famiglia, di cui mi è sfuggito il nome. L’intervistato ricordava come da piccolo il nonno fosse solito portarlo in quel luogo magico per fargli assaporare la bellezza della solitudine. Il dialogo tra la giornalista e il farista ruotava attorno alla scoperta di questa dimensione. Ritrovarsi soli davanti alla distesa del mare, in un tempo rallentato, è un po’ come fare i conti con se stessi, lasciando alla mente la possibilità di un colloquio intimo. Forse, mi sono detta, questo isolamento, dentro le pareti della nostra casa, potrebbe trovare un senso se lo cogliessimo quale opportunità di “silenzio pieno”, quel silenzio buono in cui tutto un magma di pensiero riflessivo e propositivo porta germoglio. Forse di queste storie non ne girano molte tra i social o altri tipi di canali di comunicazione di massa. Forse queste narrazioni si possono trovare disseminate in qualche libro. Ma quel faro solitario che ancora mi insegue nei sogni è l’immagine di quello che in fondo vorremmo essere, noi che dall’isolamento abbiamo partorito desiderio di incontro, di relazione ad ogni costo.
Senza ripartire da me, mi dico, dal corpo ferito, fratturato, impotente, senza auscultare, accarezzare questo mio niente che oggi sento più di un tempo e non solo per l’età ma in virtù di eventi planetari di cui spesso singolarmente e come collettività siamo causa, non potrò ricostruire con verità e atto di responsabilità un’idea e un atterraggio.
Spesso è il sogno che enuncia il manifesto programmatico del giorno che verrà. E io ai sogni istintivamente affido quel tanto di pensiero, di incongruenza e di istinto che mi svelerà, seppure parzialmente, il mattino dopo, parcellizzato in azioni, parole, intenti.
Da quale mare salirà l’antico re?

Spada e corona, un calco

Che metto mentre dormo.

E non sono più io. Un altro,

un alieno che non posa

gli occhi sul mio sguardo.

Da quali acque, verso me,

viaggia con la sua avventura?

E’ nel mio sogno?

O sono io nel suo?

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