di Marina Agostinacchio
“Sveglia alla sette: colazione, lavoro nei campi, pranzo, lavoro nei campi, cena, film, letto
Sveglia alla sette: colazione, lavoro nei campi, pranzo, lavoro nei campi, cena, film, letto
Sveglia alla sette: colazione, lavoro nei campi, pranzo, lavoro nei campi, cena, film, letto.
Via così, per centinaia di giorni, mesi, per più di un anno…”
Leggo in Radar Magazin.
L’articolo è a firma di Maurizio Carucci, agricoltore, viaggiatore e cantautore.
Chissà quanti di noi si sono trovati in una vita fatta di atti, gesti ripetitivi in questo lungo periodo. Oggi sembra tutto passato; vaccinati, almeno in parte, possiamo sedere a bar e al ristorante. Sentiamo, per il momento,(e mai abbassare la guardia!” che possiamo metterci alle spalle il buio che ci ha sommersi, spesso rendendoci intolleranti, iracondi, perfino con chi ci vive accanto. In qualche racconto furtivamente raccolto per strada, ho sentito di storie d’amore interrotte per…indifferenza. Pare che la chiusura di ogni forma di relazione sia stata la gabbia forzata dove l’uomo ha dovuto imparare a fare la bestia catturata. E così mi sono immaginata tanti di noi intrappolati, mani alle sbarre che scuotono con violenza una struttura di fili di aria pesante che avvolge l’esistenza senza scampo. Non possiamo vivere davvero senza progetti, senza fare i conti con il giorno che verrà e di cui non sappiamo nulla. Perché abbiamo trascorso il tempo in assoluta ripetitività. Ho pensato alle mie giornate: sveglia presto, (di notte si dorme poco), igienizzazione sanitaria dei bagni, colazione, mascherina sintesi di uno stretto e necessario abbigliamento che ti consenta di uscire a fare la spesa, organizzazione del pranzo. E così per settimane, fino a quando mi sono data un secchio di acqua fresca sul viso e mi sono detta “Devi cambiare anche solo con poco le tue giornate”. Ho incominciato allora a camminare sull’argine vicino a casa mia. 4 km al giorno, mutando l’orario a seconda del freddo e del caldo, del sole al tramonto e della luna nel buio. Avevo voglia di incontrare gente, di parlare, di fare programmi, oltre a leggere e scrivere nella serra – La stanza del sole- dove mi sono costruita una piccola biblioteca tra le piante. Così sono entrata nelle classi di alcune scuole. Da casa non è facile fare lavorare i ragazzi. Ci sono inconvenienti anche di connessione, di audio, di condivisione di materiali. E soprattutto, non sei davvero con i ragazzi. Ma ho smosso l’aria come un Don Chisciotte che senta la necessità di dedicare del tempo alle cose e alle parole, per dare un senso al tempo. Sorretta da questo ed altri pensieri, ho cercato di portare la schiena avanti, alla ricerca di approdi diversi, “luoghi senza nome”, direbbe Carucci. Ho incontrato un universo di persone: insegnanti, giornalisti, scrittori con cui ho scambiato opinioni, libri, video su poeti e di poeti. Ho conosciuto mondi letterari paralleli, mondi di semplici persone impegnate in politica, nella società, persone che hanno lo sguardo lontano, braccia che raccolgono sogni, utopie, diseredati, abbandonati, sofferenti. Non ci è dato di vivere due volte di seguito o nelle ere che verranno le nostre esistenze. Questo tempo ce lo dobbiamo giocare, significandolo.