Diritti e società: quegli anni 70
“In politica esistono i Sì, i No e i Silenzi…”
E in quella opzione finale il Generale Dalla Chiesa ebbe la possibilità di formare il primo nucleo speciale antiterrorismo.
Seguire in queste sere la ricostruzione degli anni salienti del Generale Dalla Chiesa, mi riporta indietro nel tempo agli anni 70, gli anni degli studi superiori ed universitari. E mi dà l’occasione per formulare alcune considerazioni.
A Padova, “città calda”, si viveva, dalla metà degli anni settanta, come accadeva in altre città del nord Italia, in bilico, tra una “gambizzazione”, un sequestro e la confusione in un momento storico che solo i decenni sarebbero riusciti a chiarire.
Per me, come per i miei coetanei, la vita procedeva lungo un rettilineo ben preciso, una meta da perseguire e da raggiungere: il lavoro dopo gli studi, per alcuni, la laurea, per altri, il dopo che si sarebbe aperto a coronamento, si pensava, di un primo percorso di vita, a conclusione di un ciclo di preparazione non per tutti dritto e semplice.
Verso metà e fine dei miei anni 70, seguivo le lezioni di Storia della filosofia; il corso era su Hegel. Durante le lezioni entravano alcuni simpatizzanti e iscritti al gruppo delle BR, interrompendola, lezione, con i loro comunicati. Noi sapevamo che avremmo dovuto lasciare l’aula ma per ritrovarci in un altro punto della città, per potere continuare a seguire indisturbati la trattazione del professore. Ricordo un’unica ragazza che con coraggio cercava di dialogare con il gruppo, argomentando attraverso discorsi con tesi solide i loro pronunciamenti, ma che immancabilmente veniva respinta con epiteti duri e volgari.
Come mi apparivano quelle giornate, quei mesi di difficile gestione, agli occhi di mio padre soprattutto, credo di non averlo mai veramente compreso, allora, nel suo senso globale; tuttavia ferveva un dialogo tra le mura domestiche tra mio padre e me, i conoscenti, gli amici; si parlava di quegli accadimenti in maniera serrata, direi quasi con una concitazione che faceva cogliere la drammaticità di quel momento difficile per il Paese. La vita, nonostante tutto, scorreva, cadenzata dal daffare; io ero una ragazza che amava andare a lezione, amava studiare, sentiva il senso del dovere e la responsabilità che aveva preso nei confronti dell’unico genitore con cui viveva in casa.
Un altro episodio che ricordo, riguarda una giornata di lezione di letteratura italiana. Seguivo un corso sugli scritti dello Zibaldone di Giacomo Leopardi. D’improvviso apparve un dipendente del Palazzo in cui erano disposte le aule di Italianistica e di Lingue. Veniva a dire sottovoce al professore che avevano “gambizzato” un docente di Storia contemporanea. Il professore ci disse di lasciare immediatamente l’aula per il motivo del quale ho accennato. Per strada era tutto un fuggi, fuggi. A quei tempi non esistevano cellulari e mio padre medico, che si trovava in un altro plesso universitario in cui lavorava ed insegnava, preoccupatissimo alla notizia che, si sa, in quegli ambienti vola da un estremo all’altro della città, si mise a cercarmi tra le strade del centro. Ci trovammo e insieme tornammo a casa.
Ora ripenso a quel periodo burrascoso della vita dello Stato e posso dire come tra compagni di corso ci si interrogasse sugli avvenimenti, si leggessero i giornali, pur non avendo ben chiaro il quadro di una situazione che comunque non era ancora storicamente decifrabile in tutta la sua portata.
Oggi sono una ex insegnante di Lettere, ma sono ancora in mezzo ai giovani studenti con laboratori di scrittura che prendono le mosse dai poeti del 900 italiano. La passione ancora mi sostiene ed è nutrimento per portare la parola poetica nelle classi, ultimamente della scuola media e superiore.
Ambientare la vita di un poeta in un contesto storico è sempre più difficile, per mancanza di conoscenza e soprattutto di desiderio di informazione, calata poi in un dibattito che porti a una consapevolezza di quello che è l’uomo, noi, nella nostra totale dimensione, una dimensione fatta anche di passato, anche composto di piccole cose… come ad esempio delle lettere.
In questo periodo ho preso in mano le lettere dal fronte della prima guerra del nonno paterno, conservate e custodite da mio padre, con l’intento di leggerle e riscriverle. Ma non ha fatto in tempo. Le ho riprese e le sto riscrivendo, decodificando la grafia a volte fattasi carta velina. Riattraverso i luoghi della guerra, la vita del soldato, le sue paure, gli atti di coraggio, la fame, il disorientamento…
Ricordo anni fa delle escursioni sull’Altopiano asiaghese; mio padre camminava silenzioso con le lettere del nonno in mano sussurrava, bisbigliava di tanto in tanto qualcosa, come a conferma di un ritrovamento tra un sentiero e un albero. Bastava questo, in noi figlie, per cogliere l’importanza di qualcosa che era stato e che la memoria voleva conservare per un senso di giustizia nei confronti di chi aveva combattuto per avere una terra ricompattata. Certo oggi dovremmo pensare a metodi diversi dalla guerra per giungere ad accordi tra contendenti di Paesi diversi, ad esempio attraverso via diplomatica, il dialogo, l’ascolto…
Ma desidero tornare al problema concernente la relazione tra generazioni.
A volte il distacco di una parte di giovani da quello che ha portato fino a questo punto la storia dell’umanità è veramente disarmante. Una specie di protezione per salvaguardarsi da qualsiasi forma di impegno? Forse sì.
Eppure i temi dell’ambiente sembrano avere svegliato le coscienze degli adolescenti che vedono sempre più andare alla deriva il nostro pianeta. Trainante è stata senz’altro Greta Thunberg, la sua voce decisa di ragazza che ha saputo battersi per la difesa della terra anche nei palazzi dei potenti.
Della lontananza dei giovani dal passato storico, siamo colpevoli, però, anche noi, assenti e svuotati di passione comunicativa che parli del nostro tempo, assenti di ricerca di relazione con i figli, spesso focalizzati nell’accumulo di parole distratte e insignificanti.
Anche in passato è accaduto che i genitori, gli educatori, i preposti alle istituzioni non sapessero parlare alle generazioni più giovani.
In una scena dello sceneggiato sul generale Dalla Chiesa, di cui ho fatto menzione sopra, il figlio Nando alla domanda del padre del perché di tanta rabbia dei giovani nei riguardi della società e dello Stato, il ragazzo risponde che la generazione che aveva lottato per la libertà, per affrancarsi dal fascismo, attraverso la resistenza, si era concentrata a fine guerra sulla ricostruzione del Paese, lasciando fare ai vertici una politica che escludeva le masse dei poveri, i senza lavoro, i diseredati, i colpiti da ingiustizia e creando, di conseguenza, i presupposti per una ribellione giovanile, condotta sia con metodi nel rispetto delle leggi come anche, purtroppo, condotta con metodi terroristici: dai sequestri di persona alle uccisioni di chi rappresentava lo Stato in tutte le sue forme di difesa (magistrati, politici, giornalisti, accademici).
Rendere vivo un periodo che indubbiamente ha formato, pur nella presenza di un ”atomo di male”, le generazioni, per prendere le distanze dal male stesso; affrontare la storia attraverso le testimonianze, lo studio, la ricerca; imparare ad avere il coraggio di additarlo, il male… sapere intuire i sintomi dell’ingiustizia, del torto, dell’offesa, del malessere, del dolore, della sofferenza. Non smettere mai di credere nella forza della parola come strumento di pace e sapere ascoltare… E soprattutto penso spogliarsi da forme di individualismo e “fare catena” con l’entusiasmo che contraddistingue la stagione fresca della vita.