“Non i girasoli, e nemmeno le rose crescono qui, ma pietre, nella sabbia ornamentale. E fioriscono”
di Marina Agostinacchio
“Non i girasoli, e nemmeno le rose crescono qui, ma pietre, nella sabbia ornamentale. E fioriscono”.
E’ un verso di Robert Hayden
C’è chi l’ha definita: “La bellezza delle cose fragili”.
Ma in cosa consiste tanto fulgore? In attività di pensiero, o in azioni quotidiane, attività pratiche… Gabriella Caramore, scrittrice e Collaboratrice dal 1982 di Rai Radio 3, afferma che nell’ascolto e nel dialogo ha scoperto il pensiero farsi materia, carne. Come se esso trovasse nell’altro una visibilità, io aggiungerei, un perimetro cui potere accomodarsi per sentire e parlare con l’altro; un pensiero che diviene liminale: una soglia della coscienza e della percezione dove l’interlocutore esiste e di cui posso prendermene carico.
E allora, andando sul concreto mi ritorna in mente Alice, una signora ormai avanti negli anni che aveva sete di contatto. Quando ti vedeva, ti voleva per forza offrire al bar qualcosa. Fermarsi con Alice, significava essere disposti a donare del tempo. A volte cambiavo via, quando la incontravo, perché sapevo che avrei dovuto “prendermi cura” della sua solitudine. Ma io non avevo tempo. Mi attendevano la spesa, i compiti da correggere, il pranzo o la cena da approntare…
Ricordo quelle volte che mi sono imposta di uscire dal tempo che mi attanagliava, per fermarmi con lei, sedermi, ascoltarla, parlarle. Il bello è che mi portavo sempre a casa qualcosa di lei, la sua parola, il sorriso, il consiglio saggio.
Di Alice ne ho trovate parecchie, così desiderose di racconti, anche di invenzioni narrative che facevano corrispondere a verità.
In un certo senso la capacità immaginativa era un modo per sopravvivere alla solitudine. Era nel momento del racconto che lei riusciva a fare, anche indirettamente, emergere i suoi fantasmi, le sue paure. Accadeva agli uomini dei graffiti, a quelli dell’era del Mito; darsi risposte a domande ed eventi per uscire da quell’ignoto pericoloso che assedia le nostre esistenze. Potersi e sapersi mettere in ascolto, vivere le relazioni, soprattutto in questo transito storico, è davvero un privilegio. Dove tutto è pianificato, previsto e prevedibile è landa, slittamento in un terreno scosceso arido. Dove il tempo detta legge con i suoi ritmi, negando l’incontro con i propri simili, né rosa, né girasole, né seme possono nascere. Robert Hayden, il poeta americano che visse un’infanzia e un’adolescenza difficili, definiva i suoi attacchi di depressione “le mie buie notti dell’anima” in una sua poesia scrisse “Non i girasoli, e nemmeno le rose crescono qui, ma pietre, nella sabbia ornamentale. E fioriscono”. Come se riuscisse a trovare la bellezza in una condizione di aridità.
“Liberare la bellezza dal fango e dal niente dei nostri giorni”, questo l’imperativo categorico, progettare il recupero di forme di vita umana, scommettendo ora sulla prospettiva difficile di un ritorno alla normalità.
Si può fare, credendoci, utilizzando le precauzioni raccomandateci più volte e in molteplici occasioni. Riconvertire l’esistenza, occupandoci anche dell’Alice che ci implora con grazia uno sguardo al suo passaggio.
11 Comments
Grazie di cuore Marina per questa bellissima riflessione. Dare spazio a un tempo da dedicare all’ascolto dell’altro, è scegliere di ascoltare noi stessi e di aprirci alla relazione, senza la quale a mio sentire non c’è nutrimento, crescita, vita. Mi chiedo se prima di questa “sospensione” delle relazioni umane ci fosse una normalità. Io non credo, la differenza è che ora abbiamo consapevolezza che dobbiamo prenderci cura della solitudine, che forse riconosciamo anche nostra.
Grazie, Martina della tua sensibile riflessione
Lucia Bassan
Ho imparato sulle mie vicissitudini a dare tempo
“” al tempo “”
il suo giusto valore .
Ed ecco allora che Alice , Gianni , Pietro ecc…
mi ispirano poesie vere , d’amore e di vita
E il tempo rifiorisce , si illumina .
E sul mio orizzonte cresce l’azzurro che penetra
Il canto della parola e la vita abbraccia “” quel vuoto tempo “”
Le tue parole entrano e fioriscono in speranza, attesa, amore.
Grazie, Lucia
“C’è una crepa in ogni cosa e da lì viene la luce” dice un verso di una canzone di Cohen”.
Di crepe che nella società esistevano da tempo e che si tenevano in ombra, la pandemia ne ha mostrato molte, ma non mi sembra che ancora abbia intenzione di far passare la luce di un vero cambiamento.
Diverso per gli individui: ci credevamo immortali, protetti dalla scienza, liberi di fare ciò che volevamo e di frequentare le persone secondo il nostro piacere più che per il loro. Il covid ci ha messo davanti alla fragilità, alla solitudine, al bisogno degli altri, al desiderio di confrontarci con disorientamenti comuni.
Ogni persona lo fa a modo suo, forse alcuni neppure lo fanno. Ma i più si. Io, dal momento che scrivo, ho fatto il romanzo che premeva da tanto ma non trovavo la forza di fare. E ora che comincia a essere letto, sono tante le persone che si ritrovano e mi cercano per raccontare la loro storia, scambiare pensieri e sensazioni. Mi trovo come portata da un filo che mi apparenta con sconosciute presto familiari, che dà luce e porta fiori dalle crepe e dai sassi. Quasi che certe vite non aspettassero che l’occasione per uscire dal buio.
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Bella riflessione. Ricordo un tempo della mia infanzia in cui era più “naturale” mettersi in ascolto delle persone senza la preoccupazione di “perdere tempo” per altre occupazioni ritenute più urgenti.
Poi, con il passare degli anni, la vita, gli impegni lavorativi e familiari hanno in qualche modo lasciato meno spazio al tempo delle relazioni e senza accorgercene abbiamo perso questi momenti importanti per fermarsi a condividere emozioni, pensieri, paure, gioie e dolori.
Adesso, dopo questo terribile momento che stiamo ancora vivendo, mi sto rendendo conto di quanto precaria sia la nostra vita e di quanto importante sia recuperare le relazioni che arricchiscono il nostro essere e che ci permettono di leggere dentro di noi attraverso occhi diversi e più obiettivi.
La vita moderna ci impone ritmi frenetici, tabelle di marcia da rispettare. Non abbiamo tempo per ascoltare gli altri, invece questo tempo bisogna trovarlo; fa bene al prossimo e anche a noi.
Grazie a tutte voi, per avere voluto lacciare che il tempo sostasse per il tempo della lettura del “pezzo”. Un tempo che si trova così solo nei sogni. Ma voi avete voluto lasciare parlare una parte di voi stesse, quella più profonda.
Marina
Quante preziose riflessioni, cara Marina! La tua Alice mi ricorda una persona, una donna, che è passata nella mia vita con apparente leggerezza, ma che invece mi ha segnata al punto di dovermene allontanare. Ho protetto me stessa, non senza rammarico e con la consapevolezza di lasciarla sola. Per una volta ho accettato il mio limite, il mio non potercela fare… Non ho visto fiorire le pietre nel suo giardino desolato. Mi chiedo ancora oggi “… e se avessi avuto un po’ più di pazienza, chissà, forse!!!”
Scrivere è prendersi cura di se stessi, ascoltare è prendersi cura dell’altro; in entrambi i casi la parola, si rivela come quella scintilla divina che permette all’io di ciascuno di manifestarsi.
Che bella riflessione, Marina. È proprio vero a volte sfuggiamo da qualcuno che sappiamo “avido” di attenzione perché abbiamo fretta, mille cose da fare, invece mi è capitato di fermarmi e poi essere felice di aver ascoltato e di aver speso bene il mio tempo. Ciaoooo