Amiche
La sensazione è quella del freddo sulle cosce nude, freddo come un ventre che si ostina a rimanere vuoto.
Irene è seduta sul bordo della vasca da bagno, tra le dita un oggetto inutile.
La stessa sensazione di freddo e inutilità si ripete ogni mese negli ultimi tre anni. Eppure ci sperava anche questa volta, ogni volta il miracolo sembra possibile.
Per le altre sembra facile, le altre rimangono incinte anche se non vogliono.
Lei no, lei non è fertile. Lascia cadere dalle dita il tester con quell’unica linea sbiadita nel mezzo. Si alza, si infila frettolosamente i jeans e guarda quell’esile striscia rosa pallido che le sembra una bocca dalla linea derisoria e con un gesto deciso lo butta nella pattumiera.
In camera dà un’occhiata al mucchio di vestiti che ingombra le sedie, hanno invaso perfino il ripiano del cassettone, mentre sotto il mobile una decina di scarpe fa bella mostra di sé.
Ci vorrebbe un ripostiglio in questa casa o il lusso di una stanza in più. Cambiare casa, un altro sogno irrealizzabile, almeno per il momento, forse fra qualche anno, quando io guadagnerò di più come illustratrice e magari anche Davide riuscirà ad affermarsi con qualche gallerista.
Apre l’armadio per cercare qualcosa per la serata. Sceglie una gonna grigia aderente e corta, calze colorate a righe viola e un maglione color malva. Passa le dita tra la lana angora, vellutata come il piumaggio tenero di un uccellino, indossa la maglia e si sente al sicuro come in un nido.
Questa sera si festeggia il compleanno di Claudia, la prima tra le amiche dei tempi della scuola a compiere 40 anni.
Irene dedica un’attenzione premurosa al trucco, si passa un secondo strato di rossetto sulle labbra e si osserva allo specchio con aria critica: le gambe snelle fasciate di righe, le braccia lunghe e sottili, il petto esile, ma la maglia voluminosa avvolge la sua magrezza rendendola più morbida. Gli occhi, velati d’inquietudine, galleggiano nelle ombre delle occhiaie che il correttore non è riuscito a nascondere. Con dita nervose riavvia i capelli castano-mogano, una massa di ricci indisciplinati che ricadono disordinati ai lati del viso.
Ci tiene ad apparire bella questa sera, non vuole sfigurare nel confronto.
Sale nella sua Kalos blu elettrico, si dirige verso il quartiere residenziale a sud dove una sfilza di bifamiliari nuove, uniformi per stile e colore, sembrano l’opera di un bambino che ha disposto ogni pezzo delle sue costruzioni in modo ordinato e diligente creando un quartiere perfetto e un po’ surreale in questa piccola città del nord-est.
Accende la radio e nell’auto si diffonde la voce di Loredana Berté: “Non sono una signora/
Una con tutte stelle nella vita/Non sono una signora/Ma una per cui la guerra non è mai finita …” Irene alza il volume al massimo e si ricorda quando adolescenti lei e le altre ascoltavano la canzone nella sua vecchia A112 e cantavano a squarciagola il ritornello. Un’ultima occhiata nello specchietto e scende con un sospiro.
Elena le apre la porta col piccolo Leo attaccato al seno: “Scusami Irene, entra un istante, è sempre un problema staccarlo”, le dice l’amica con un sorriso infastidito che diviene una specie di smorfia.
Irene è ipnotizzata da quella minuscola bocca a ventosa che succhia voracemente un seno florido, traboccante di latte e passa le dita sulla testa del bimbo con una carezza leggera.
Lui si separa con uno schiocco dal seno materno lasciando un capezzolo rosso e umido così grosso che ad Irene ricorda stranamente un proiettile. Per una frazione di secondo gli occhi del bimbo incrociano i suoi, poi si rigira svelto verso la madre, pronto a riacciuffare il suo capezzolo. Elena, veloce, si è tirata su la spallina del vestito e Leo le rivolge uno sguardo sconcertato e furioso prima di scoppiare in un pianto convulso.
“Sembra che senta quando devo uscire, diventa intrattabile e appiccicoso.” e di nuovo ricompare quella leggera smorfia sulle sue labbra scarlatte; decisa e distante deposita il fagotto recalcitrante in un seggiolino, mentre urla al marito: “Scendi che io devo uscire, c’è un biberon di latte pronto in cucina, daglielo fra un’oretta.”
Dalle scale proviene uno scalpiccio di piedini scalzi e frettolosi e compare Mirko che lancia un aereo in direzione della madre, ignorando sfacciatamente il saluto di Irene.
“Tu sì, che sei l’amore della mamma, l’ottava meraviglia del mondo.”
Irene osserva l’amica che guarda con occhi innamorati il suo primo rampollo e una piccola fitta le stringe lo stomaco: “Dai, andiamo che le altre ci stanno aspettando.”
Elena distende le pieghe dell’abito nero sui fianchi, si aggiusta i lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon alto sulla nuca. Getta un’occhiata distratta allo specchio che riflette due grandi occhi azzurri e un corpo dalle forme armoniose, anche se ora i seni gonfi premono eccessivi la stoffa che sembra dilatarsi sul petto.
Claudia ha scelto un ristorante chic, appena fuori città, per questa cena intima tra vecchie amiche. Ora sta sorseggiando un aperitivo con Samuela, le sue dita lunghe e affusolate accarezzano il calice mentre ondeggia il capo in segno di assenso alle parole dell’amica.
La risata allegra e contagiosa di Samuela accoglie Irene ed Elena.
“Oh, eccovi qua – con un gesto elegante Claudia fa oscillare lievemente il polso della mano sinistra e getta un’occhiata all’orologio – il ritardo è accettabile, cominciavo a preoccuparmi.” Le donne si salutano con un abbraccio.
Dopo un po’ arriva Renata: “Salve ragazze, scusate ma stasera la riunione con l’amministratore delegato non finiva più, ragazze… si fa per dire, ehi Claudia – e le si avvicina, i volti si sfiorano – cos’è la ruga dei quarant’anni quella che vedo in mezzo alla fronte?” e scoppia in una risata.
“Sei sempre la solita sciocca. Vedi di contenerti stasera.” ribatte Claudia.
“A quanto pare stai facendo carriera” afferma Elena gettando un’occhiata all’abito Armani verde militare di Renata, ai capelli ramati tagliati a spazzola e al fisico modellato dall’abitudine quotidiana alla palestra.
“Già, sono finiti i tempi in cui sgobbavo dietro le quinte, finalmente il capo si è accorto di quanto io sia capace, affidabile e intelligente, modestamente parlando…”
“Ragazze non potrò fermarmi molto – esordisce Samuela – ho la piccola con 38 di febbre, temo si sia presa la scarlattina, l’asilo in questo periodo sembra un lazzaretto. Tengo le dita incrociate perché non se la becchino anche le altre due.”
Irene teme una serata in cui si parlerà solo di poppate, di malattie infantili e di problemi scolastici delle figlie più grandi, ma è decisa a godersi la cena. Si abbandona sulla sedia dallo schienale alto foderato di raso, il vino rosé si diffonde dolcemente nel palato lasciando una lieve nota amara come retrogusto e un leggero frizzantino nelle narici.
Ascolta distrattamente le voci delle amiche che parlano di asili nido.
Il cameriere porge i menu, con un’occhiata esperta passa in rassegna le donne e si attarda su Claudia. Irene segue la traiettoria di quello sguardo e invidia l’eleganza innata dell’amica: slanciata, capelli castani foltissimi che le scendono in morbidi riccioli sulle spalle, occhi a mandorla dalle ciglia lunghe, jeans Moschino aderenti, tacchi alti, maglietta di strass nera attillata.
“Renata ma quanto sei dimagrita.” esclama Samuela.
“Hai notato? La palestra fa miracoli, anche perché il mio personal trainer, per di più strafigo, non mi molla un istante.”
“Strafigo? E si è preso una cotta per te?”
“Ma va là Irene, semplicemente lo pago con il mio abbonamento mensile e lo pago profumatamente, mia cara.”
“Ci vorrebbe anche a me la palestra con personal trainer ma, vi giuro che, con il lavoro in ufficio e tre figlie piccole, è un lusso perfino andare in bagno e poi mi piace troppo mangiare.” sospira Samuela mentre addenta con soddisfazione un croccante cavolfiore pastellato.
Irene sorride, vedere mangiare Samuela le ha sempre messo buon umore, le piacciono la sua allegria e la sua semplicità raffinata.
“Non vedo l’ora che crescano, così anch’io potrò concedermi la palestra e la carriera.”
“Eh cara mia non credere sia facile, io ho dovuto vedermela con un dirigente stolto e pure maschilista, pensa che dopo la maternità ha avuto la sfacciataggine di propormi il part-time! Figurati, sono tornata al lavoro quando Chiara aveva tre mesi, le ho tolto il latte e l’ho messa al nido, ma almeno così ho salvato la carriera.” Renata getta uno sguardo poco convinto a Samuela come se dubitasse della sua grinta nel lavoro.
“Menomale che nella scuola pubblica non ti fanno pesare le gravidanze! – dice Claudia- Invece io per mantenermi in forma vado spesso a sciare. Marco quest’anno ha deciso di fare la stagione a Cortina, e devo confessarvi che nemmeno il mio maestro di sci non è affatto male. Anche se io non tradirei mai Marco, ovviamente”.
“E se lui tradisse te?”
“Nooo Irene, ma che dici! Sì, le guarda le altre, ma non credo proprio che…” per un istante Claudia rimane a bocca aperta, alla ricerca delle parole che le sfuggono.
Irene la osserva, ha un aspetto impeccabile eppure il volto è contratto, rigido, grigio.
“Ehi Claudia, come stai? Tutto bene?” s’informa Irene.
“Certo che va tutto bene, va tutto a gonfie vele” e nei suoi occhi castani passa un’ombra di malinconia mentre li socchiude, ma quando li riapre sono di nuovo impenetrabili.
Lo sguardo di Irene galleggia sulla maglia di Claudia, ipnotizzato dal luccichio intenso e vibrante delle paiettes nere, ora intensamente illuminate, ora buie come un buco nero, minuscole perline che sembrano liquefarsi sotto i suoi occhi, per un istante le pare che si allontanino aprendo degli squarci nel tessuto.
E’ una sottile breccia ma sono riuscita ad entrare nel tessuto che avvolge i nostri fragili sogni esistenziali…. se dovessi disegnare Claudia, non avrei dubbi. La vedo mentre cammina spedita su un lago ghiacciato. A tratti il ghiaccio s’incrina appena sotto i suoi passi, si potrebbe spezzare… ma lei scaccia il pensiero inopportuno e affretta il passo. Sorride, gli angoli della bocca sono tesi, lei si sforza di tirarli su e sul suo volto si disegna un sorriso ambiguo come quello di un clown… Ecco l’immagine che mi ci voleva per il libro! Solo che un clown dall’espressione inquietante non è indicato in un libro per l’infanzia. Il mio lavoro è fermo, forse dovrei smetterla di illustrare libri per bambini, non in questo periodo almeno.
“Ah, non vi ho detto che stiamo comprando un attico, 200 metri quadri ristrutturati alla perfezione. E’ stato un affare, Marco mi ha chiamato al lavoro chiedendomi di andare a firmare il contratto. Pensa, non l’ho neppure vista la casa, ma mi sono fidata: una favola, in pieno centro storico, con vista sulla piazza. Marco ha fiuto per gli affari.”
Ma all’improvviso il ghiaccio si spezza…. Vedo il cameriere che deposita un vassoio di crostini, mentre con la coda dell’occhio guarda Claudia, lei posa il tovagliolo sulla tavola, si alza e si dirige con passo calmo e sicuro ai bagni. Prima di entrare si volta e lo squadra con i suoi occhi felini. Lui la segue nella toilette femminile, chiude la porta e vi appoggia la schiena. Claudia gli afferra il colletto della camicia e avvicina la sua bocca, lo bacia, un bacio famelico, le unghie affondano nella nuca e poi tutto avviene velocemente, lui le slaccia i jeans, lei si gira di schiena, le mani al muro, lui entra mentre un piacere stravagante e sconosciuto la travolge”.
Magari riuscisse a perdere così il controllo Claudia… E forse io ho sbagliato mestiere, avrei dovuto scrivere, avrei guadagnato di più con le storielle hard.
“Ehi Irene dove sei? – la riscuote Samuela – avevi lo sguardo perso.”
Renata si gira appena verso di lei prima di rivolgersi a Claudia: “Ben fatto Claudia! Anch’io sono contenta di abitare in centro, è un ottimo investimento e ci sono tutte le comodità, ti consiglierò io la scuola per Alice.”
“A proposito di scuola, datemi un consiglio, sono indecisa se mandare Mirko all’asilo dalle suore o nel pubblico, forse le suore me lo seguono di più.”
“Ma scusa Elena, cosa stai aspettando? Perché non l’hai ancora iscritto? Ha compiuto 3 anni da un pezzo. Lo stai viziando troppo il tuo adorato primogenito, sempre con la nonna e la sua mammina. Scommetto che non ti farai tanti scrupoli col piccolo Leo.” replica Renata con malizia.
“Ehm, infatti l’ho già iscritto alla scuola pubblica, vicino all’ufficio di Andrea, così al mattino lo porterà lui.”
Irene non le segue più, sta pensando con tenerezza alle amiche di un tempo, alle risate tra i banchi di scuola, alle corse sfrenate del sabato sera nella sua prima auto, alle nottate brave in discoteca e agli anni dell’università con una Claudia comunista sfegatata che ora, magari vota pure a destra.
Si sta chiedendo, mentre assapora un ossobuco con riso basmati allo zafferano, come mai non si afferrino più e perché, sempre più spesso, negli appuntamenti rituali dei compleanni, nel bel mezzo di una conversazione perfetta nella sua disarmante banalità, abbia voglia di urlare.
Sono le mie amiche di sempre, che ora sono diventate donne, soddisfatte della loro vita, o almeno sembra. Si sono sposate all’età giusta, con l’uomo giusto, hanno trovato il lavoro sicuro, hanno fatto figli, mentre io mi dibattevo nelle mie inquietudini, sempre alla ricerca di qualcosa d’indefinibile e intanto lasciavo un lavoro e un uomo dopo l’altro. Forse loro, più mature e più pragmatiche di me, hanno capito tutto.
Sento una nota stonata questa sera, le parole galleggiano vuote… C’è un velo che nessuno osa sollevare su vite così perfette, neppure io che sono sempre stata l’eccentrica del gruppo.
Perché rovinare la festa con domande inopportune: dove si trova la felicità, in un lavoro socialmente apprezzato, una famiglia, una bella casa? O forse sarebbe meglio vivere sole e indipendenti, libere di esplorare la vita in tutta la sua imprevedibilità? Un figlio ora mi assicurerebbe la felicità… O sono un’ ingenua a pensare che con un figlio tutti i tasselli incompleti della mia confusionaria esistenza andrebbero a posto, come per miracolo.
“Allora cosa dite -propone Renata- lo organizziamo questo viaggetto per i nostri 40 anni a Barcellona?”
“A Barcellona?” fa eco Irene.
Il vino è delizioso, un passito dolce con una nota acida che pizzica il palato.
Forse è meglio partecipare alla conversazione, fingere interesse, cullarsi in un sogno roseo dove la vita di ognuna è perfetta così com’è, perfino la mia.
Un figlio, anzi una figlia, per la precisione, riempirebbe sicuramente quel vuoto, quel buco nero che a tratti mi divora. E non mi basta l’amore di un marito affettuoso, quell’avido buco nero ora si sta risucchiando anche la mia tiepida felicità matrimoniale.
“Ehi, Irene, sei sempre la solita tu, viaggi tra le nuvole” la risveglia Renata.
All’improvviso dalle casse stereo del locale si diffonde la voce della Berté: “Non sono una signora…”
Che curiosa coincidenza... E la voce della loro cantante preferita di un tempo, copre quella delle sue amiche: “È un volo a planare/ Per essere inchiodati qui/ Crocefissi al muro…”
“Ehi ragazze la sentite? Vi ricordate quando la cantavamo tutte insieme nella mia A112?”
Ma nessuno sembra fare caso alla musica, né alle sue parole.
Samuela sta parlando dell’ingresso alla scuola materna di Francesca, la figlia minore:
“Per fortuna ha cominciato la scuola, non ne potevo più. “Io che sono una foglia d’argento/ Nata da un albero abbattuto qua/ E che vorrebbe inseguire il vento/ Ma che non ce la fa/ Oh ma che brutta fatica/ Cadere qualche metro in là/ Dalla mia sventura/ Dalla mia paura…”
“Pensate che ero così stufa di averla a casa che l’altro giorno l’ho mandata a scuola con la febbre.”
Irene mormora fra sé: “Povera piccola” ma Renata le rivolge uno infastidito: “Eh, ha parlato quella che non ha figli. Mi dispiace cara mia ma tu non sai proprio cosa voglia dire stare dietro ad un marmocchio ventiquattro ore su ventiquattro e forse non lo saprai mai!”
Irene sente le sue labbra piegarsi in un sorriso imbarazzato mentre le spalle s’irrigidiscono. Una frase, detta con noncuranza, una stilettata che le arriva dritta allo stomaco con la forza di un coltello dalla lama affilata. Una parola le sale e le rimane strozzata in gola: “Stronza”.
Ma perché pronunciarla a voce alta e rovinare a tutte questa deliziosa serata?
Testo di Daniela Lucchesi